Storia della Chiesa Parrocchiale (dal Liber Chronicus)

Data certa della prima fabbrica non esiste, e solo attraverso la stratificazioni stilistico-architettoniche che vanno dal romanico, al gotico aragonese e fino al moderno barocco dei diversi interventi che hanno portato alla situazione attuale è possibile ipotizzarne una molto approssimata, 1000-1200; forse si iniziò con un modesto oratorio bizantino con copertura a falde. Le prime certezze però risalgono al XIII secolo. La distruzione del villaggio all’inizio del 1400 durante le guerre combattutasi in Sardegna tra gli Aragonesi e i Sardi di Arborea non deve aver lasciato molti riscontri architettonici. La riedificazione del Villaggio inizia intorno al 1420 ad opera di Giovanni Siveller aragonese e feudatario di re Ferdinando I di Aragona ed è presumibile che la chiesa con la bellissima CAPPILLA MAIOR sia stata ogetto di ristrutturazione. Sulla prima struttura, verso la fine del 300 o forse proprio al principio del 400 dovette sovrapporsi una fabbrica di stile gotico-aragonese a tre navate così come si presenta attualmente, senza transetto e con le cappelle laterali con volta crociera costolonate e copertura a tetto di legno sorretto da architravi. “Tutto il fasto della fabbrica si manifesta nella CAPPILLA MAIOR (presbiterio), voltata con costoloni e rosoni; probabilmente si apriva con un ornato finestrone absidale.” Nel 1639 inizia, ad opera del Mastro Paolo Andriola, la nuova costruzione della torre campanaria di Santa Barbara. L’iniziativa è dell’Arcivescovo Machin di Cagliari e le pietre vengono dalle cave del nobile Gerolamo Cervellon. Una torre campanaria gia sorgeva nell’adiacente cappella della Confraternita di Sant’Efisio, torre demolita all’inizio del secolo. Nel 1640 le campane dedicate alla martire Nicomedia sono gia issate. Dopo una peste durata un lustro il campanile viene ultimato da Mastro Antonio Dore nel 1659, la chiusura fu allora di tipo piramidale con copertura in lastre di ardesia, in cima fu posta una croce con asta, e terminale con una grossa palla di rame e “veletta” cioè bandiera girevole in lamiera. Con il Mastro Antioco Palombo si raccorda il campanile con la facciata. Alla fine del 1600 operava in Sardegna Domenico Spotorno contemporaneamente con un grande spirito di rinnovamento culturale che pervade tutta la Sardegna sulla scia di quello “acuto segnale urbano che nel Seicento invade l’Europa delle capitali”.
“Gli ultimi decenni del Seicento e tutto il Settecento si caratterizzano per la fervente attività edificatoria tesa a ristrutturare e aggiornare, in senso “moderno”, numerosi edifici di culto presenti nell’isola. Per alcune chiese, solitamente cattedrali, si tratta di una vera e propria opera di rifondazione che, cancellando le precedenti strutture romaniche e gotiche, acquistando forme importate da un classicismo tardo manierista, ritardatarie rispetto a quelle in altri ambiti culturali nei quali, da decenni, si andava imponendo il verbo barocco ma, comunque, innovative in ambito sardo.”(citazioni da “itinerari di Sardegna” e “Architettura dal tardo 600 al classicismo purista”).
Con questo spirito all’architetto Sportono vengono affidati i lavori più importanti del momento: la cattedrale di Cagliari su incarico di Monsignor Pietro Vico arcivescovo di Cagliari, la Basilica di Ales per conto del vescovo Didaco Cugia nel 1686. Altri interventi minori di questo architetto li troviamo ad Iglesias ed ancora a Cagliari nella chiesa di S. Francesco.
Sempre su incarico di Monsignor Vico, che diffondeva quella tendenza al rinnovamento inaugurato a Cagliari e sulla cui giurisdizione ecclesiale ricadeva allora la nostra parrocchia, lo Sportono viene incaricato di un altro importante intervento sulla nostra parrocchia di S. Barbara.
Di questo periodo (1670) e di un architetto esperto è dunque il rimaneggiamento che definisce in via ultimativa l’attuale conformazione strutturale e stilistica della chiesa di Santa Barbara di Villacidro, “in sintonia cronologica” dunque con la riforma del duomo di Cagliari. “Qui le innovazioni riguardano probabilmente il corpo di fabbrica principale, cioè le tre navate, mentre è stata rispettata la precedente “cappilla mayor” che conserva la sua bella volta stellare gotico-catalana. Nei rimaneggiamenti risulta particolarmente rispondente al sicuro modello cagliaritano la disposizione dello spazio, distribuito su tre distinte superfici, dove le parti laterali, campata dopo campata, presentano cupolette paragonabili, sebbene senza lucerne, a quelle de duomo di Cagliari o, per meglio dire, una struttura ritmica di volte a vela che non doveva essere, anche questa, una pratica corrente tra maestranze sarde.”
Le opere sono eseguite in un lungo periodo dando nuova luce a tutto l’edificio: Nel 1672 Mastro Antonio Cocco porta in avanti la facciata della chiesa in linea col novo campanile col conseguente allungamento della navata centrale e la costruzione di una nuova cappella al lato opposto del campanile. Le cappelle sono collegate tra loro sfondando le pareti divisorie. Nel 1682 è la volta del Mastro Giuseppe Passiu nel rifacimento della copertura della navata centrale che viene sollevata per far posto a una nuova luce con le finestrelle laterali e frontali. Nel 1695 Mastro Baquis Pirella rifà tutte le coperture delle cappelle che vengono dotate di lucide cupolone.
Nel 1722 si pone mano ancora la campanile dove viene realizzato il battistero.
Dopo neanche mezzo secolo (1742) altri cambiamenti sono in vista all’interno degli edifici sacri della Sardegna; sono interventi “tesi a barocchizzare l’ambiente interno delle chiese”, e particolarmente attive sono le famiglie dei marmorai provenienti dalla Val d’Intelvi; Le figure dominanti di questo gruppo di artisti appaiono quelle di Giovanni Battista e Domenico Spazzi.
Anche per la parrocchia di Santa Barbara a Villacidro non si è da meno e ancora una volta artisti di elevato livello come gli Spazzi sono chiamati per radicali trasformazioni. Ad essi si deve quel piccolo ma raffinato capolavoro che è l’altare maggiore. Di eccezionale valore il paliotto dove un morbido e finissimo bassorilievo in marmo lo adorna magistralmente.
Anche il campanile è oggetto di trasformazioni e nel 1756 il “paveillon” ossia padiglione a piramide viene sostituito con il “cupolino” dalle tegole verniciate ed il sottostante battistero viene dotato di una fonte battesimale in marmo. Con queste due opere e con un parallelismo stilistico con la cattedrale di Cagliari Villacidro entra, dunque, nella storia dell’architettura moderna in Sardegna.
Nel 1767 Monsignor Pilo Vescovo di Ales ottiene il passaggio della prebenda canonicale di Villacidro alla sua Diocesi in cambio di Villamar per farne la sua sana residenza.
Villacidro diventa oggetto di grandi interventi ecclesiali con la ristrutturazione del Palazzo Brondo trasformato in casa Episcopale e anche S. Barbara è oggetto di una nuova e grandiosa trasformazione confacente alle nuove funzioni a cui viene chiamata con la presenza del Vescovo.
All’uopo si chiama l’Abate Carlo Maino di Lugano, appartenente al soppresso Ordine Gesuitico. Egli è presente anche a Cagliari nel Seminario Tridentino, a Quartu, Sanluri e Serramanna. La navata centrale della chiesa viene interamente scoperchiata alla copertura in legno si sostituisce una volta a botte con arcate a tutto sesto ed un elegante cornicione perimetrale. Una luminosità nouva pervade quella che sarà la cattedrale “non indegna della residenza estiva di Monsignor Pilo”.
Altri arredi saranno realizzati negli anni, dalle cappelle al battistero e così via; ma di particolare e sicuro pregio sono la paratora e gli stalli del coro in legno finemente intagliati da Pasquale Cara. Di valore è anche la bussola lignea dell’ingresso con sovrastante cantoria realizzata da Mastro Gemiliano Paxi nel 1769. Dopo Monsignor Pilo anche gli altri Vescovi adottano l’episcopio di Villacidro come dimora; egli muore a Villacidro ma dopo una sepoltura provvisoria in questa parrocchiale la sua salma verrà traslata ad Ales.
Altri due Vescovi di Ales dopo di lui muoiono a Villacidro e sepolti in questo Tempio dove ancora riposano. Si tratta di Monsignor Michele Antonio Aymerich (1788-1806) e Monsignor Giuseppe Stanislao Paradiso (1819-1822). Le tombe sono entrambe ai piedi dell’Altare Maggiore.