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Chi sono i poveri oggi?
Certamente oggi più di ieri il povero ha perso alcune caratteristiche esteriori che lo rendevano facilmente riconoscibile, soprattutto nelle nostre piccole realtà: il disagio sociale marcato, la sporcizia, la mancanza di istruzione, la non capacità lavorativa, una vita marginale, il consumo di droghe associato a una vita disordinata.
Certo, restano tante persone che assistiamo attraverso beni materiali e sostegni economici, ma certamente non possiamo più limitarci a un’assistenza materiale.
Occorre chiederci con serietà chi sono i poveri, per evitare di metterci la coscienza in pace quando abbiamo dato dei pacchi di viveri o abbiamo pagato una bolletta.
Il Papa stesso, nel messaggio per la quinta Giornata Mondiale dei poveri ritorna spesso su alcuni temi comuni: “La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente”.
“È decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione.
Ci sono molte povertà dei ‘ricchi’ che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei ‘poveri’, se solo si incontrassero e conoscessero!
Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità.
I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere.
Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi!”.
Vedere il povero sempre e soltanto come un destinatario riconoscibile e riconosciuto della nostra azione caritatevole è molto limitante, e non è affatto ciò che la Chiesa chiede.
Sempre con le parole di Papa Francesco: “Si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. […]
La povertà dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona”.
Occorre dunque cambiare mentalità, avere un approccio differente alla povertà, sviluppare una progettazione creativa e lungimirante che ponga al centro la condivisione di un percorso.
Pensare che i destinatari del lavoro della Caritas Diocesana come delle Caritas parrocchiali siano delle persone facilmente identificabili è fuorviante, perché l’azione della Chiesa è sempre un’azione di promozione umana integrale e non solo un’elemosina saltuaria o anche organizzata. In questo senso quindi l’azione della Caritas si rivolge a tutti i membri della Chiesa, e anzi a tutti gli uomini e donne, in particolare a chi è ferito dalla vita, a chi è solo, a chi ha necessità di un sostegno morale, alle donne che allevano i figli da sole, ai padri divorziati, ai giovani che hanno un handicap, a volte anche piccolo o soffrono di problemi psichiatrici.
Alle persone che vivono fasi di depressione, di allontanamento dalla socialità. A chi è in cerca di un lavoro e a chi il lavoro ce l’ha ma vorrebbe fare di più.
Ai giovani che sono in cerca del loro presente e del loro futuro, ai migranti, ai bambini che hanno difficoltà a scuola.
E potrei continuare all’infinito. Insomma, oggi essere poveri non è più solo questione di conto in banca.
E dobbiamo avere il coraggio di cambiare il passo anche come Chiesa.
Conclude il papa: “Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo.
L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta”.
Avremo noi questa lungimiranza che ci chiede la Chiesa, che ci chiede il tempo in cui viviamo?
O sapremo accontentarci di dare un tozzo di pane a chi è nel bisogno, senza però aiutarlo a prendere in mano la sua vita?
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